Ferdinando Boero, docente di Biologia marina e Zoologia all’Università del Salento, ha pubblicato più di duecento articoli scientifici e nel 2006 ha ricevuto la Médaille Albert Premier per l’oceanografia. Ospite della manifestazione Cupagri - Salone dell’agroalimentare, per il convegno “Ecologia, Cibo e Ogm”, ha risposto ad alcune delle nostre domande.
Professore, si parla tanto di OGM ma si conoscono poco, può spiegarci cosa sono e cosa ne pensa?
Quali sono pro e contro degli OGM ?
Ipotizziamo che esista una popolazione che mangia solamente riso con tutte le implicazioni dal punto di vista nutritivo. Grazie alle modificazioni genetiche potremmo produrre una qualità di riso più nutriente e salvare milioni di persone dalla fame o dalle malattie. In realtà, penso che le aziende che producono OGM non sono benefattrici ma agiscono per il profitto. Infatti, nella maggior parte dei casi, i semi di queste piante geneticamente modificate generano organismi sterili; così facendo, il contadino non potrà più utilizzare i semi delle piante che ha coltivato e sarà costretto a comprare i semi dall’azienda produttrice di OGM, diventandone schiavo. Ed esponendosi agli aumenti dei prezzi decisi in maniera unilaterale da tali aziende. E poi, chi soffre la fame è povero, e quali guadagni si ottengono sfamando i poveri? Tutta queste generosità da parte delle multinazionali è per lo meno sospetta.
Gli OGM rischiano di far scomparire prodotti tipici?
Si. Infatti, se ho una pianta o un allevamento, potrei eliminare tutto ciò che non è conveniente dal punto di vista economico ed indirizzare tutti i miei sforzi in un’altra direzione, col risultato di produrre in modo uniforme, piatto. L’esatto contrario della varietà dei prodotti tipici, fortemente legati al territorio e alle tradizioni. Tuttavia, noi non sappiamo che inconvenienti potrebbero provocare queste scelte nel medio e lungo termine. La soluzione ad un problema, oggi, potrebbe crearne degli altri domani. In natura esiste la biodiversità, dove specie diverse giocano lo stesso ruolo. Se una specie fallisce ce n’è un’altra pronta a prendere il suo posto. E le specie falliscono quasi sempre. Infatti quelle che ci sono oggi non sono uguali a quelle che esistevano cento milioni di anni fa, il che vuol dire che c’è stata un’evoluzione e le specie che non si sono adattate a determinate condizioni si sono estinte. Se noi blocchiamo questo fenomeno naturale e incentiviamo solo quelle specie che dal nostro unto di vista risolvono i nostri problemi, senza curarci di questo aspetto, è come se giocassimo alla roulette e puntassimo tutto il nostro capitale su uno stesso numero. Se vinciamo, va benissimo, altrimenti perdiamo tutto. Ciò è molto rischioso ed è bene invece mantenere la diversità delle specie. L’Italia ed il Salento sono molto ricche e grazie alle condizioni ambientali e territoriali, ed esprimono prodotti unici e non esattamente riproducibili altrove. La nostra forza è di avere dei prodotti tipici producibili solo nei nostri luoghi.
Che ruolo spetta ai GAL per salvaguardare la salubrità dei prodotti?
Le azioni da sostenere riguardano più la commercializzazione che la produzione. Nel Salento c’è un problema di omogeneità e sicurezza nella quantità della produzione. Ho chiesto nei supermercati perché non ci sono prodotti salentini e la risposta che mi è stata data è la mancanza di approvvigionamento stabile. C’è un’oscillazione nell’offerta, che va al di là di quella stagionale. Inoltre manca ancora il livello qualitativo raggiunto con il vino, dove il Salento ha fatto passi da gigante. Poi ci sono delle mancanze legate al sistema e alla cultura locale e, non per ultimo, la mancanza della Facoltà di Agraria in grado di formare agronomi veramente capaci. Per superare molte di queste criticità, in agricoltura, c’è bisogno di aggregazione e i GAL sono motore di aggregazione. Essi devono promuovere la cultura della cooperazione. Per cambiare c’è bisogno di più sapere e di più collaborazione. Abbiamo già dimostrato di poterlo fare con il vino, i margini di miglioramento sono grandissimi.